Prendi un dipendente, trattalo male, lascia che ti aspetti per ore, allora si vedrai che ti rispetterà!

Ammettilo, probabilmente avrai letto queste parole canticchiando.

No, non è il  “teorema di Ferradini” applicato al mondo del business, ma purtroppo, uno dei tanti luoghi comuni che allignano tra le pareti stanche di alcune aziende italiane.

La teoria secondo la quale il datore di lavoro non può permettersi di essere gentile ed empatico con i propri collaboratori, altrimenti se ne approfittano.

Il “vero imprenditore” deve avere il pelo sullo stomaco!

Basta con questi stereotipi, vecchi e lontani, come i tempi dei galeoni e degli schiavi rematori.

L’imposizione gerarchica spesso porta ad un conflitto distruttivo, minando il lavoro di squadra, limitando la comunicazione efficace.

I leader non diventano grandi grazie al potere, ma usano la loro posizione, le loro relazioni, la loro produttività, per investire nei collaboratori e svilupparli finché possano diventare leader a loro volta.

 

La pandemia oltre ad aver generato una incredibile accelerazione tecnologica, ha amplificato l’importanza dei valori e delle relazioni umane. Questo ha avuto le sue ripercussioni positive anche in ambito aziendale, dove le aziende stanno riscoprendo l’importanza della valorizzazione delle risorse umane.

 

Il mondo è cambiato, le persone sono cambiate, e di conseguenza la leadership ed i follower hanno subito notevoli cambiamenti di mentalità, in relazione al contesto che stiamo vivendo.

Dire come questa sia cambiata sarebbe presuntuoso da parte mia e soprattutto non corretto, in quanto la leadership va vista come un vestito da cucire su misura e modificare a seconda delle stagioni.

Il leader è un ruolo, un mestiere che si impara e si affina con il tempo, un processo, non una posizione.

Leader si nasce o si diventa?

La risposta sta in una sola parola: caratteristiche.

Ogni forma di cambiamento deve partire dal basso, dalla propria identità, dai valori, dalle credenze. Bisogna in primis lavorare su sé stessi.

Cambiare un nostro comportamento per andare incontro ai nostri collaboratori sarebbe controproducente se prima non si lavorasse sul comprendere i nostri limiti e punti di forza.

La vera capacità, il vero cambiamento, oggi, sta nel conoscere le proprie caratteristiche trasformandole in punti di forza al servizio della propria squadra.

In questi giorni sto leggendo il libro “ il leader calmo”, autobiografia di Carlo Ancelotti.

leadership

 “il mio metodo è parte di ciò che sono; è coerente con il mio carattere e con la mia personalità”.

 

Con questa frase il “Carletto nazionale”, riassume tutti i concetti espressi sin ora.

 Alla base c’è il carattere che è un aspetto dominante della personalità, che non puoi assolutamente mettere da parte, ma nemmeno imporre agli altri.

Ancellotti ha dimostrato, con i risultati che con il suo approccio calmo e rispettoso, è in grado di esercitare una forte leadership, che fa emergere un grande e rilevante valore: il rispetto per le persone.

Il mio approccio calmo alla leadership a qualcuno potrà sembrare un segno di debolezza, ma la mia è una calma che trasuda potere ed autorevolezza, in cui si costruisce un rapporto di fiducia e in cui si prendono decisioni con nonchalance usando il carisma e la persuasione mantenendo sempre un atteggiamento professionale.

Il rispetto di cui godo penso di essermelo guadagnato in parte con i successi e con i trofei conquistati, ma forse, cosa ben più importante, perché io per primo ho rispetto per le persone con cui lavoro. Che a loro volta si fidano di me e delle mie decisioni.

In queste parole possiamo ritrovare alcuni dei punti essenziali della scala della leadership di John C.Maxwell, già trattata in un precedente editoriale.

Un processo legato all’esperienza, all’esempio, all’impegno, ai risultati.

Non so dire come la leadership sia cambiata, ma so come vorrei che cambiasse.

Vorrei che ci fossero più Ancellotti a gestire le nostre aziende. Che ci fosse più rispetto, da e verso i collaboratori di ogni organizzazione.

Perché a discapito di chi spesso in sordina sogghigna, a volte per invidia, altre per incapacità, non dobbiamo mai dimenticare che dietro un bilancio, un conto economico, uno stato patrimoniale, ci sono le persone, ed è solo grazie alle persone che si possono ottenere grandi risultati, come ad esempio essere l’unico allenatore ad aver vinto 4 Champions League.

 

Roberto Chessa

 

Potrai trovare questo ed altri articoli pubblicati sulla rivista: For Leader Magazine

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